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Christian Buangjug – Tecnologia e istruzione, uno sguardo al domani

Coordinatore Webscuola AGIDAE

1.Premessa tecnologica

Nel saggio “Il tempo vissuto”, il fenomenologo del tempo Eugène Minkowski ha riconosciuto l’esistenza di due modalità di vivere il futuro: l’attesa e la progettazione.[1] Queste categorie a prima vista banali definiscono non solo un atteggiamento individuale, ma anche uno collettivo e sociale, delineando la cadenza e il potere della nostra azione nella determinazione del divenire storico.

Uno sviluppo che avviene in contemporanea è quello del sapere scientifico e della tecnica, che invece è slegato dalla domanda del futuro. Immedesimati nel presente, gli scienziati e la loro euristica cercano di rispondere a una domanda: secondo la nostra attuale curiosità e in accordo con i dati sperimentali, a cosa ci porta la teoresi?

Quando la necessità storica e sociale e lo sviluppo della scienza si intersecano lungo una traiettoria che definisce la trasformazione degli stili di vita, allora compie un balzo in avanti il fenomeno del progresso, segnando il raggiungimento di un nuovo stadio, la cui irreversibilità, ambigua nel suggerire dubbi e timori e insieme nel garantire nuove rassicurazioni, può essere solo messa in discussione da un risultato ancora maggiore.

La trepidazione verso un futuro fantascientifico dura ormai da qualche decennio. Tra i sogni d’infanzia dei nostri genitori e dei nostri insegnanti scolastici c’era quello di vedere le macchine volanti, ma già il film “2001: Odissea nello spazio” (S. Kubrick, 1968) profetizzava una crescita esponenziale della tecnologia. Allo stato attuale e con venti anni di ritardo, dobbiamo accontentarci delle Tesla (e senza neanche il 5G).  

Ma la rinnovazione tecnologica della scuola non ha avuto lo stesso successo. Alcuni precedenti governi ed isolati esperimenti delle singole scuole hanno manifestato coraggiosi ma flebili tentativi di segnare un cambiamento, purtroppo con un riverbero troppo facile a disperdersi per poter creare un clima di trasformazione e di reciproco scambio di idee, anche solo, nella migliore delle ipotesi, in uno spirito concorrenziale. Sul piano strettamente tecnologico, mentre l’evoluzione hardware dell’informatica è stata costante, lo stesso non si può dire del software. E così le famigerate LIM o i tablet si sono evoluti solo nell’espansione del loro mercato, mantenendo funzionalità del tutto simili a quelle di 10 anni fa e perfino perdendo molti punti nella protezione dei dati sensibili, mentre al contempo l’infosfera si è trasformata involontariamente in un terreno di conflitto geopolitico tra superpotenze, riecheggiando lo spettro delle “zone di influenza”.

Tempora mutantur, come è evidente, ma è altrettanto vero che nosque mutamur in illis?



[1] EUGENE MINKOWSKI, Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, 2004

2. Smartworking e DAD: l’efficacia della lontananza

Sappiamo tutti cosa è successo il 9 marzo del 2020. Con un urgentissimo DPCM dell’esecutivo M5S-PD-LEU “Conte 2”, ci è stato detto: chiudiamo, la situazione è grave. La scelta del lockdown nazionale in seguito al lockdown locale militarizzato (Alzano e Nembro come l’epicentro Wuhan), che ha contraddistinto il cosiddetto modello italiano elogiato anche dal New York Times[1] fino a novembre scorso (periodo della seconda ondata e dei termini ormai in disuso “fase 1, fase 2 e fase 3”), sconvolse e poi convinse la politica internazionale. La scuola fu subito messa in secondo piano. La via del “lavoro agile”, invece, era già stata battuta. Gli uffici e le strade si svuotarono, mentre il Mezzogiorno si ripopolava delineando i primi tratti del curioso fenomeno italiano del “southworking[1].

La logica dello smartworking è una diretta conseguenza dell’evoluzione del lavoro d’ufficio. Il computer è il centro di gravitazione del classico “nine to five[2], ma è quasi del tutto indifferente dove il PC si trovi fisicamente. In via del tutto teorica, lo stesso lavoro può essere svolto su qualsiasi smartphone. Inizialmente, il cosiddetto “telelavoro” era diffuso tra gli informatici e i programmatori, che da casa potevano scrivere linee di codice per diverse compagnie anche ubicate in altre città, in particolare nello sviluppo delle web app con PHP, Java e Python. Numerosi erano anche i giovani che fornivano assistenza tecnica via Skype o VoIP per società private, secondo la formula del “telelavoro part-time”, o che si occupavano anche, ad esempio, della gestione delle prenotazioni delle strutture ricettive tramite le apposite OTA (Online Travel Agencies). Ma lo smartworking riusciva anche a superare con scioltezza i confini nazionali. L’economista premio Nobel Paul Krugman, ad esempio, riporta come case study per il suo corso di Economia Internazionale (The New School)  la fioritura di una serie di società contabili indiane specializzate nella elaborazione di buste paga e stipendi statunitensi, considerate dai professionisti USA un business poco remunerativo[3].


[1] Southworking: “lavoro (a distanza) dal Sud”. Il neologismo è un gioco di parole tra “south” (Sud) e “smartworking”. Dopo la lontananza prolungata del primo lockdown dalla propria famiglia, circa 45 mila lavoratori migrati al Nord si sono ristabiliti nelle regioni di provenienza, proseguendo il lavoro in smartworking, appunto, dal Sud.

[2] Nine to five: “dalle nove alle cinque”. E’ un’espressione che indica il turno di lavoro degli impiegati, usata come metafora per il lavoro dipendente.

[3] PAUL KRUGMAN, MAURICE OBSTFELD e MARC J. MELITZ, Economia Internazionale vol. 2, Pearson, 2019 (p. …)


[1] JASON HOROWITZ, How Italy turned around its Coronavirus calamity, in “The New York Times”, 31 luglio 2020.

Nei mesi della pandemia, purtroppo, lo smartworking (o soluzioni a distanza come il “food delivery” per il settore gastronomico) non è stato applicabile a tutte le professioni, mentre il monopolio dell’e-commerce (Amazon in primo luogo) rendeva l’equa concorrenza il sogno di un passato incompatibile con la realtà attuale. Nella maggior parte dei casi, il computer ha banalmente svolto il ruolo di valvola di sfogo e di raggruppamento degli individui di categorie svantaggiate, ostacolati per motivi sanitari nel raduno di piazza e andando a comprimere, secondo la terminologia di Peter Sloterdijk, i nuovi e contemporanei “punti di raccolta dell’ira”[1]. Ma in tutto questo, nel tumulto delle categorie produttive (si ricordi il violento corteo di Napoli durante la fase 2, in seguito all’annuncio pomeridiano del governatore De Luca di dover chiudere la Campania entro le successive 48 ore, dopo una serie di ironiche dichiarazioni a detrimento di comuni cittadini), le più gravi sofferenze sono state a carico degli alunni scolastici. Inizialmente, fu proposto ai bambini di indossare la mascherina ininterrottamente per tutta la durata delle 6 ore di lezione. I banchi furono distanziati, ma si verificavano assembramenti durante la ricreazione. La ministra Azzolina propose di lasciare le finestre aperte, suscitando critiche dalle regioni settentrionali e dalle aree di montagna. Infine fu proposta la turnazione, che però raddoppiava l’orario di lavoro dei docenti. La strada era chiara: servivano i banchi con le rotelle, a milioni.

Quando si decise per la DAD, non tutti i bambini potevano permettersi di seguire le lezioni. Ad un anno di distanza dall’inizio della pandemia, dei 300 mila alunni sprovvisti di devices (PC o tablet) o di una connessione ad internet sufficientemente potente, solo circa 50 mila sono riusciti a procurarsi la minima strumentazione necessaria per rimanere al passo con la scuola[1]. Ciò a dispetto del fatto che nei primi mesi della pandemia, sia nei negozi fisici, sia negli online stores, erano rimasti disponibili all’acquisto solo i computer di fascia alta a prezzi proibitivi, mentre nelle grandi distribuzioni erano esaurite le scorte di webcam e microfoni da PC.

Per comprendere meglio l’impatto della scuola telematica sulla didattica, è utile tenere presente come Internet sia ormai, dall’inizio del secolo, un luogo di costante produzione di materiale inerente a qualsiasi argomento. I ragazzi, così come anche gli adulti, possono trovare utili videotutorial riguardo i propri interessi, ma anche scaricare o direttamente stampare i relativi materiali (guide, eserciziari, riassunti e vademecum). Già di per sé, Internet è un arricchimento della formazione di un individuo. Dall’avvento dei social network, è perfino un mezzo di espressione e un pubblico e libero spazio per la narrazione di sé.

Il mondo della scuola non fa eccezione. Sono migliaia i video destinati all’intrattenimento cosiddetto “educational” dei bambini nella fascia 0-6 anni, così come esistono dei siti web diffusissimi tra i docenti della scuola primaria, per il download (gratuito o a pagamento) di disegni da colorare o di esercizi svolti. Più difficilmente, per la primaria, si trova materiale multimediale. Sono gli stessi insegnanti che, o perché incoraggiati dalle views o perché sinceramente mossi da uno spirito di condivisione, nel tempo decidono di produrre il proprio materiale e di diffonderlo con l’apposizione del proprio nome o marchio (un esempio sono i gruppi di matematica di Facebook).  

Da ciò ne è derivato che gli insegnanti della scuola dell’infanzia erano naturalmente predisposti alla DAD, poiché già esposti a molte ore di visione di materiale “erogativo”, la cui replicazione non richiede molto in termini di ore di preparazione e di spesa dei materiali. La difficoltà più comunemente riscontrata, tuttavia, sia nella scuola dell’infanzia, sia nella scuola primaria, era il veloce calo dell’attenzione, che ha portato a direttive ministeriali sulla durata delle lezioni, cioè non oltre i 30 minuti.


[1] GIADA FERRAGLIONI, Dopo un anno di Dad 250 mila studenti senza pc e scuole senza connessione: “Le famiglie auto-organizzano”, in “Open”, 11 marzo 2021.


[1] PETER SLOTERDIJK, Ira e tempo – Saggio politico-psicologico (tit. orig. “Zorn und Zeit – Politisch-psychologiker Versuch”), Marsilio Editore, 2007.

Gli alunni della secondaria accusavano piuttosto sofferenze dovute alla chiusura e al divieto di socializzare, intesi quasi come un’espropriazione del diritto a formarsi come individui della società, legata a sua volta al timore del buio di un’adolescenza priva di esperienze e di una innaturale e diplomatica convivenza pacifica con la propria famiglia, costringendo l’istinto conflittuale a una metamorfosi viscerale con molte incognite. Come testimoniato dai TG, anche i giovani sono scesi in strada a centinaia, ma per rompersi le ossa a vicenda e per diffondere in rete un fugace ritratto della generazione Z, marcato da una voglia di produrre, manovrare e dirigere la sofferenza, piuttosto che semplicemente subirla, e infine condividerla (non solo nel senso di “postarla”). A riguardo della distanza che può separare le persone, Cesare Pavese scrisse: “Che morso da affamato, da squalo, da cancro ha la lontananza”[1].


[1] CESARE PAVESE, Il carcere, Einaudi, 1948.

Anche il mondo dell’università sembrava non poter sfuggire ai venti di crisi. Contro ogni aspettativa, però, ha seguito, nel numero delle iscrizioni, un grafico “a V”, cioè di rapida e costante discesa (o piuttosto di un crollo nel secondo semestre dell’anno 2019-2020), seguita da una speculare risalita lungo un commisurato segmento di tempo (agosto-settembre). Non ha avuto frizioni, invece, il consolidamento della seduta di laurea online come pratica di comune accordo tra atenei e studenti, che sarà in futuro una delle tante epifanie di questo periodo. Per alcuni mesi, il quotidiano si reggeva, nel mondo, su pochissime cose. L’economia della produzione e dello scambio di beni e servizi è stata letteralmente percossa e battuta. Pochissimi barlumi hanno conservato un’aura di genuina normalità. A mo’ di esempio, il titolo in borsa di “Zoom.us” (l’app esplosa dopo che Boris Johnson dichiarò di averla usata per convocare il Consiglio dei Ministri, esponendo per errore dati privati dei partecipanti) era l’unico che, secondo le leggi del mercato, poteva vantare una robustezza di bilancio e favorire aspettative ottimistiche, garantite da un sano rapporto prezzo-valore delle azioni.

Tutto il resto, a partire dal petrolio, era in caduta libera. Ma scoccata l’ora dell’estate, nel bene e nel male, abbiamo tutti perso la memoria. Il traffico aereo è stato rivitalizzato e i patrimoni privati, d’un tratto, non sembravano più così in sofferenza. E la chiamano estate…

3. Perché è nata WEBScuola AGIDAE

Da marzo del 2020, le testate giornalistiche hanno pubblicato articoli sulla crisi delle scuole paritarie. “Il 30% chiuderà”, si leggeva, “senza possibilità di riaprire” [1][2]. La priorità di AGIDAE è stata dunque quella di soccorrere gli istituti intavolando un dialogo con le istituzioni, ma allo stesso tempo adottando come linea politica il pagamento per intero della retta annuale per alunno. Contemporaneamente, gli accordi sindacali concordati d’urgenza indicavano la modalità di procedere per ottenere la CIGD (Cassa Integrazione Guadagni in Deroga) dei lavoratori e accedere al fondo FIS, una volta confermato il blocco dei licenziamenti, poi in seguito prorogato più volte. Con un ritmo sostenuto di circa un aggiornamento ogni 10-15 giorni, gli scenari di intervento di AGIDAE modulavano tra le esigenze dei gestori, degli istituti, dei lavoratori e delle famiglie. A livello istituzionale, le strade percorse furono due. La prima fu la presentazione di due emendamenti alla Legge di Bilancio, approvati da entrambe le camere del Parlamento, riguardo le scuole paritarie e gli alunni con disabilità. La seconda invece fu l’incontro diretto con il Ministro delle Finanze del PD Roberto Gualtieri (28 maggio 2020, in presenza di FIDAE, AGESC, CISM e FISM) e in seguito con il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (4 giugno 2020).

La priorità di AGIDAE era perciò quella di ribadire la parità di trattamento tra lavoratori e istituti scolastici paritari rispetto a quelli statali. Ma al di sotto dei lavoratori e delle organizzazioni datoriali, si avvertiva la trascuratezza nei riguardi degli alunni. Ottenute le prime garanzie economiche per il lungo periodo, ci si è seriamente interrogati sul futuro della scuola. AGIDAE è sempre stata a favore delle riaperture, ma era chiaro che i provvedimenti ministeriali suggerivano fluttuazioni confuse ed incerte, alcune volte decise dal CTS, altre invece da imperscrutabili e visionarie motivazioni politiche. Si avvertiva la paralisi traumatica dell’attività scolastica, che già si era verificata in altre circostanze (il terremoto dell’Aquila e altri terremoti, le frequenti esondazioni e inondazioni delle stagioni autunnali, ma anche, privatamente, l’insorgere di condizioni croniche o invalidanti). Apparve evidente che la scuola italiana non aveva un sistema di reazione, analogo agli anticorpi o al sistema immunitario, per le grandi emergenze. Il pensiero non era rivolto, però, a un protocollo da allarme rosso, quanto piuttosto a uno strumento didattico indipendente a uso domestico e illimitato dell’alunno, adattabile alle necessità legate a impossibilità della didattica in presenza per difficoltà dell’istituto, dell’alunno o del docente. La “scuola online” come estensione della scuola in presenza. Un punto di riferimento paragonabile a un faro nella tempesta.


[1] ENRICO LENZI, Scuole paritarie, il 30 percento a rischio chiusura, in“Avvenire”, 18 aprile 2020.

[2] ANDREA PERRONE, MARCO MICCINESI, MARCO ALLENA e MARCO GRUMO, Per l’emergenza sanitaria rischia di chiudere il 30% delle scuole paritarie cattoliche, in “IlSole24Ore”, 1 maggio 2020.

Modellata la prima forma, non ci è voluto molto per decidere di arricchirla con la LIS, con la scuola bilingue e con le audiolezioni per gli ipovedenti. Riconosciuto l’ordine di grandezza dell’opera, a luglio sono iniziate le registrazioni, sotto l’occhio critico dei nostri “short sellers” (nel gergo della finanza, sono gli investitori che scommettono per il fallimento di un’azienda, guadagnando, ad ogni punto percentuale perso dalla società puntata, una quantità di denaro proporzionale al denaro scommesso). E’ di Machiavelli la citazione: “Non v’è nulla di più difficile da realizzare, né di più incerto esito, né più pericoloso da gestire, che iniziare un nuovo ordine di cose. Perché il riformatore ha nemici tra tutti quelli che traggono profitto dal vecchio ordine, e solo dei tiepidi difensori in tutti quelli che dovrebbero trarre profitto dal nuovo[1]. Ma a giudicare dal fervore delle scuole che ci hanno contattato, i nostri difensori non saranno né tiepidi, né pochi ed è davvero difficile vedere come sia possibile trarre profitto dall’ordine vecchio.


[1] NICCOLO’ MACHIAVELLI, Il principe, Capitolo VI (parafrasi). Testo orig. “E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché l’introduttore ha per nimici tutti quelli che delli vecchi ordini fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza” (Barbera Editore, 2007, pg. 27).

4. Le questioni aperte della DAD e l’offerta di WEBScuola

Al di là delle rappresentazioni cartesiane che possiamo ottenere dai numeri e dai dati matematici, la scuola è una fondamentale esperienza umana. In molti casi, essa può servire a coltivare la capacità critica degli alunni, a destare in loro la curiosità, a sollevare il loro senso di responsabilità, a raccontare loro un futuro lieto e realizzabile, arrivando anche a salvare vite, scoraggiando, se possibile, le cattive scelte e compagnie.

In special modo, la scuola è l’unico centro di aggregazione culturale nelle periferie (insieme alle biblioteche pubbliche), ma anche nelle aree a bassa densità di popolazione, dove la presenza sul territorio è garantita dalle scuole paritarie. Come spesso accade, chi sceglie di vivere una vita sicura è totalmente all’oscuro di cosa voglia dire una vita piena di rischi. Ma nel tendere allo stile di vita opposto, ci si dimentica (e si impara con l’esperienza) che è anche verissimo il contrario. La scuola, che sia laica o cattolica, è innanzitutto un luogo di formazione civile. Il rapporto prolungato con gli insegnanti riesce spesso anche a replicare dei meccanismi simil-transferali[1][2] e controtransferali, che aiutano l’alunno a chiarire i dubbi sulla scelta universitaria o sulla carriera desiderata, ma anche a mettere in atto una mimesi (una “imitazione”) di un comportamento o di una personalità a tutto tondo. Perché sia incentivata la proiezione della propria esperienza di vita verso l’esterno, fuggendo la chiusura in sé e favorendo il rapporto con l’altro[3], la didattica in presenza è indiscutibilmente più efficace della didattica a distanza. Come anche riportato dalla star italiana della psicanalisiMassimo Recalcati[1], il coinvolgimento che può creare una lezione curata con dedizione, testimoniando la fervente passione dell’insegnante per il proprio lavoro e la propria materia, può alimentare nello studente un vero e proprio desiderio di conoscenza. La DAD indebolisce in efficacia questa componente della formazione degli alunni, che si conferma non solo come un diritto alla conoscenza, ma anche come un imprescindibile laboratorio per il consolidamento della regolazione affettiva e relazionale. Si aggiungono a queste considerazioni i crescenti allarmi degli ultimi tre decenni sulla resilienza psicologica degli adolescenti e dei preadolescenti, come testimoniato dal popolare saggio di successo “L’epoca delle passioni tristi” (2004)[2] di Miguel Benasayag e Gérard Schmit, elegantemente anticipato dalla psicanalista freudiana francese Françoise Dolto con il libro “I problemi degli adolescenti” (1988)[3] e diventato il propulsore di un dibattito arrivato fino in Italia, con la ripresa del tema del nichilismo tra i giovani da parte di Umberto Galimberti[4]. Fasce di età sempre più giovani chiedono in massa un consulto psicologico o vi sono forzatamente condotti dalle famiglie in alcuni gravi casi di isolamento sociale, consumo di sostanze o disturbi alimentari. Paesi di un lieto vivere come la Svizzera e il Giappone hanno visto un incremento senza precedenti del tasso di suicidi dei giovanissimi, mentre al contempo si sono diffuse sui social per preadolescenti le cosiddette “challenges”[1] di autolesionismo e resistenza al dolore autoinflitto, con esiti talvolta sconvolgenti per l’opinione pubblica, ma che rappresentano solo degli isolati punti di rottura di una costante e quotidiana sollecitazione di un tessuto digitale destinato ai più piccoli, ritenuto erroneamente diverso per contenuti dal resto dell’infosfera e perciò raramente monitorato dai genitori. Queste criticità psicologiche dei minorenni sono alla base delle proteste per la DAD, alimentate dal timore che i ragazzi possano sentirsi piegati da forze di grande entità e con direzioni contrarie, disposte secondo un’architettura sistematica che non concede loro possibilità di reagire, ma solo di resistere.

Come in una partita a scacchi contro un avversario esperto, il Covid sembra precedere di almeno due mosse la libertà d’azione degli studenti. Basti pensare all’idea di sognare per il futuro una minuscola possibilità di cambiare lo status quo, ma non poterlo fare per una prolungata carenza formativa nel presente.

Il tasto dolente della DAD è la questione della valutazione dell’andamento scolastico degli alunni. Gli esami di maturità sono stati semplificati, mentre a tutti gli alunni è stata garantita la promozione basata sulla comprensione della straordinarietà delle circostanze. I compiti in classe e perfino le interrogazioni mettono in agitazione i professori, il cui metro di giudizio è un pendolo che oscilla tra la paranoia e l’eccessiva fiducia, arrivando a chiedere agli alunni di bendarsi[2], come a Guantanamo, per dimostrare di non sbirciare.

Desta invece molta rabbia la gestione della logistica, come nel caso dei trasporti, diventato lo slogan del buonsenso di tutti i cittadini. Dopo aver aperto e inaugurato molte gallerie e tratti autostradali durante il periodo marzo-settembre, la ministra Paola De Micheli (PD) suscitò risate isteriche nel mese di ottobre. Risale solo al 14 ottobre, a più di un mese dall’apertura delle scuole, l’articolo di Repubblica dal titolo “Coronavirus, De Micheli apre il tavolo su trasporti e contagi”[3]. Ma ad oggi, con un nuovo Consiglio dei Ministri, non sono ancora state prese misure sensate.

La DAD di AGIDAE vuole essere un’estensione della scuola in presenza e funzionare all’occorrenza come strumento pronto all’uso nelle grandi emergenze. E’ pensato per le scuole paritarie associate, ma è aperta anche alle scuole che adottano altri CCNL e vuole essere anche uno specimen per la scuola statale. Come già anticipato, è concepita come uno strumento indipendente e non è adattato specificamente all’epoca del Covid, ma è utilizzabile in maniera versatile in diversi casi di necessità. E’ un progetto che verrà portato avanti negli anni e sarà utile sia ai docenti, sia agli alunni per poter chiarire, delle lezioni, i passaggi meno immediati alla comprensione.

Benché nasca come una piattaforma erogativa, consente anche di creare aule in videoconferenza automaticamente registrate e consultabili. E’ un vero digital toolbox[4], le cui funzionalità invitiamo a scoprire sul sito https://webscuola.agidae.it . I corsi con più ore settimanali (italiano, matematica) sono stati ridotti a 30 lezioni da 30 minuti, mentre le materie con meno ore sono state ridotte a 20 lezioni da 30 minuti. La videolezione è corredata da materiale aggiuntivo, slides, strumenti di autovalutazione e registro elettronico. Per gli alunni con disabilità alla vista sono state pensate le audiolezioni scaricabili, mentre per gli alunni con danni all’udito sono state registrate le traduzioni in linguaggio dei segni (LIS, Linguaggio Italiano dei Segni). Non vuole sostituire la scuola, ma esserne una replica efficace per consentire lo studio costante e approfondito, per aprire la strada alla digitalizzazione e garantire un servizio alla portata di tutti, quando tutta la scuola è forzata a una riorganizzazione.


[1]Challenges: “sfide”.

[2] ANSA, Alunna bendata durante interrogazione in dad, accertamenti, 12 aprile 2021.

[3] SILVIO BUZZANCA, Coronavirus, De Micheli apre il tavolo su trasporti e contagi. Scontro sulla chiusura delle scuole, La Repubblica, 14 ottobre 2020.

[4]Digital toolbox: “cassetta degli attrezzi digitale”.


[1] MASSIMO RECALCATI, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, 2014.

[2] MIGUEL BENASAYAG e GERARD SCHMIT, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2004.

[3]  FRANCOISE DOLTO, I problemi degli adolescenti, TEA, 1988.

[4]  UMBERTO GALIMBERTI, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, 2008.


[1] JACQUES LACAN, Il transfert – Il seminario, Libro VIII, Einaudi, 2008.

[2] PETER SLOTERDIJK, Sfere I. Bolle. Microsferologia, Raffaello Cortina, 2014.

[3] Cfr.EMANUEL LEVINAS e FRANCO RIVA, L’epifania del volto, Servitium Editrice, 2010.

5. Uno sguardo al domani

La DAD è solo un aspetto dell’innovazione scolastica. Esistono, nel mondo, dei curiosi esperimenti educativi, che però seguono le direttive di progetti internazionali. Riportiamo due esempi eclatanti per dimostrare quanto la bizzarria, in fin dei conti, non sia altro che una questione di prospettive. Il primo caso di cui scriviamo riguarda il regista americano David Lynch (autore di “Velluto blu”[1], “Mulholland Drive”[2] e altri). Nel 2005 ha fondato la David Lynch Foundation for Consciousness-Based Education[3] (Fondazione David Lynch per l’Educazione basata sulla Consapevolezza), che si occupa di portare nelle scuole di tutto il mondo (e in special modo nelle scuole dei paesi in via di sviluppo, con una radicata presenza in America Latina), la pratica della meditazione trascendentale, utile non solo alla gestione delle emozioni, ma anche ad avere un atteggiamento riflessivo e di scrupoloso ascolto nei confronti delle vulnerabilità della propria sfera interiore. Questo approccio non ortodosso alla gestione delle emozioni e delle proprie debolezze ha in realtà apportato dei benefici sia nell’attenzione degli alunni, con un conseguente aumento significativo del rendimento, sia anche nel prevenire atti di violenza e di bullismo e nel favorire una maggiore integrazione tra compagni, dovuta a una più consapevole capacità di empatia.

Il secondo caso invece riguarda uno sport in emergenza, il Jiu-Jitsu Brasiliano (“l’Arte Suave”, cioè “l’arte gentile”), un sistema di lotta a terra diventato parte integrante dei curricula di alcune scuole in Inghilterra, negli USA e ad Abu Dhabi (sede dei mondiali dello sport). Allo stesso modo della Fondazione David Lynch, questa scelta formativa ha permesso la prevenzione degli atti di violenza e di bullismo, consentendo inoltre ai piccoli alunni (e soprattutto alle piccole alunne) di imparare un metodo di autodifesa realmente efficace contro le aggressioni (portare la lotta a terra azzera il divario fisico contro avversari più grandi di statura o di peso).

Sul piano strettamente tecnologico, l’informatica sta esplodendo su tre fronti: l’Intelligenza Artificiale (a sua volta ramificata in Machine Learning e Deep Learning), i computer quantistici e la Data Science. Di fronte a questi tre settori (che ogni sei mesi, oltre a progredire, si confermano sempre di più come il nuovo standard di lavoro) c’è solo da augurarsi una cosa per la scuola dell’obbligo: che vengano insegnate approfonditamente la matematica e la fisica, con programmi il più possibile aggiornati agli ultimi anni. Non solo, cioè, come abilità per “fare di conto”, ma anche come esplorazione di uno spazio teoretico a metà tra la scoperta e l’invenzione [4], indissolubilmente legato al mistero dell’ordine della physis, della natura[5][6]. Solo con delle basi complesse, le nuove generazioni potranno imparare a gestire strumenti complessi e perfino promuovere il loro sviluppo fino a che non si renda necessario il loro superamento.

Ma in previsione, la tecnologia può anche trasformare il mondo del lavoro. Si prevede un sorpasso delle capacità umane da parte dell’Intelligenza Artificiale. L’accademico britannico Daniel Susskind, autore dei libri “Il futuro delle professioni: come la tecnologia trasformerà il lavoro di umani esperti”[7] e “Un mondo senza lavoro: tecnologia, automazione e come dovremmo rispondere”[8], ha cominciato a pubblicare libri a partire dall’osservazione del sopracitato sorpasso. Attraverso una consistente mole di esempi tratti dall’esperienza quotidiana dei centri di avanguardia, dimostra come l’Intelligenza Artificiale abbia superato in precisione il lavoro dei medici nella diagnosi di alcune patologie (attraverso l’interpretazione di radiografie, fotografie ed altri dati matematici di esami d’accertamento) e perfino in creatività (impensabile per una mente non umana) il lavoro di alcuni architetti nella realizzazione di teatri e sale da concerto. Il progetto dell’auditorium da 10.000 posti della grandiosa Elbphilarmonie di Amburgo, ad esempio, è stato disegnato da un algoritmo[9]. Si teme che nella prossima decade l’Intelligenza Artificiale possa sostituire le professioni legali e contabili, mentre nel mondo finanziario del trading (soprattutto nella modernissima variante dell’High-frequency Trading) la sostituzione di operatori umani è vicina alla certezza matematica. Ma non sarà un male per i fondi di investimento, che invece ne beneficeranno molto.

Il futuro appartiene ai giovani, ma è chiaro che ci sarà il bisogno di un dialogo generazionale che possa almeno consentire il limitare dei danni, in particolar modo nell’accumulazione di debito. Secondo l’economista Stephanie Kelton, autrice del libro “Il mito del deficit”[10] sulla moderna teoria monetaria (e che ha avuto una discreta eco negli ambiti accademici) non solo il “deficit spending”, strumento keynesiano per eccellenza, diminuirà l’investimento privato, ma impedirà la crescita a lungo termine, creando cioè un illogico paradosso autoreferenziale e un loop autodistruttivo, paragonabile a un lento harakiri. Date le due gravi crisi finanziarie avvenute nel giro di 13 anni (2007 e 2020), i giovani sono cresciuti tendendo un orecchio verso le leggi dell’economia. Speriamo che ciò che gli è stato insegnato come imprinting possa aiutarli in futuro a gestire secondo ragione le complessità a lungo termine, guidati da un senso della strategia, della previsione e della completezza.


[1] DAVID LYNCH, Tit. Orig. “Blue Velvet”, De Laurentiis Entertainment Group,1986.

[2] DAVID LYNCH, Mulholland Drive, Universal Pictures,2001.

[3] DAVID LYNCH, In acque profonde, Mondadori, 2017.

[4]  Cfr. BERTRAND RUSSELL, Introduzione alla filosofia della matematica,

[5] EUGENE P. WIGNER, L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali, Adelphi, 2017.

[6] Cfr. RICHARD FEYNMAN, La legge fisica, Bollati-Boringhieri, 1993.

[7] DANIEL SUSSKIND, The future of professions: How technology will transform the work of human experts, OUP Oxford, 2021.

[8] DANIEL SUSSKIND, A world without work: technology, automation and how we should respond, Metropolitan Books, 2020.

[9] DANIEL SUSSKIND, Il futuro del lavoro nell’era dei robot, Intervento al Festival ECONOMIA COME – L’Impresa di crescere”, 9 novembre 2019.

[10] STEPHANIE KELTON, Il mito del deficit. La teoria monetaria moderna per un’economia al servizio del popolo, Fazi Editore, 2020.